Tutto è vero perché tutto è falso
ed io viaggio non per oblio di Pierfranco Bruni C’era o non c’era?
Da San Luca ai viaggi persi nelle Calabrie delle tre lune. Ho ascoltato il Sogno e poi la Ragione. Non voglio nulla rivelare. Tutto è mistero! I fantasmi giungono di notte, ma anche nelle prime ore del chiarore antelucano. Tutto non ha un senso? C’era una volta un castello… Forse c’era una volta un castello… Il castello era alle porte della città. Forse… |
La fabula è affabulare. Voglio essere affabulato dalla danza delle parole.
Ulivi e fichi d’india. Il mare era la pianura. Onde e malinconie. I cavalli di Sibari sono usciti fuori del tratturo e cavalcano verso Leutermina. Casalnuovo. Villapiana. Porta degli Angeli.
C’è una storia dimenticata dalle cronache, ma vive nelle leggende. I cuori battono sotto la luna e la luna recita memorie tra le alture e il vento che schiaffeggia le torri. Torri senza bandiere. Bandiere sulle navi e il fumo dai caminetti delle case raggruppate nelle distanze. Sibari brucia. I secoli si rincorrono.
Carlo Martello ha dimenticato la sua età, ma suo figlio lo insegue. Il castello non ha più la porta. I turchi e i saraceni e forse anche gli albanesi hanno occupato le stanze. Il tempo perduto è la moneta del sogno. Ma le leggende sono nell’infanzia e l’infanzia è l’erba cresciuta nel castello ormai diventato un rudere.
In una stanza ora murata, di notte, raccontava una leggenda, si vedevano due ombre. E danzavano nel buio. Si tenevano per mano e facevano girotondo. Girotondo intorno al mondo. Erano Chiara e Filippo. Si erano amanti. Ma erano morti… Suicidio! Chiara era la sposa di Eduardo e Filippo era lo sposo di Flaminia. Ma si erano innamorati e per sfuggire alla separazione si erano suicidati tagliandosi le vene in quella stanza. Il custode, Germano, li aveva trovai l’una sull’altro in un fiume di sangue. D’allora nessuno abitò più quella stanza, ma di notte, gli abitanti del castello sentivano voci fievoli e sussurri provenire dalla parte alta (del castello), dove era appunto situata quella stanza.
La stanza del suicidio o dell’amore perduto. Così veniva chiamata.
Si narra che quella stanza era abitata da due ombre. Dalle ombre di Chiara e di Filippo.
Gli anni e i secoli non cancellarono il ricordo. E fu così che nel secolo scorso murarono la stanza. Il castello è un rudere ma quella stanza è intatta. E ancora ci sono voci, sogni e perdute illusioni.
Chiara e Filippo recitano l’amore e il castello disabitato è un teatro ravvivato dai suoni del tempo e dai cori del mare. Danzano la vita e dipingono la morte. L’amore è vivo, la morte è perduta. Cantano i cigni e le donne di Sibari vestono tuniche bianche e corrono alla ricerca dei figli. Gli anni si intrecciano e i destini sono solitudini ora che il pendolo consuma le età e la storia è negata.
“Amami sempre
per amarmi ancora”.
La vita senza la fantasia cosa sarebbe. E Filippo senza Chiara come avrebbe vissuto? E Chiara senza Filippo che fine avrebbe fatto?
Entrambi abitavano il castello. In due ali opposte. Ognuna con un loro ingresso. Ma poi si ritrovavano la sera a Porta degli Angeli. La sera il castello era in festa. Tutte le sere. E c’era il re con gli arcieri. I balli cominciavano lungo la linea del crepuscolo e il tramonto baciava il mare e Chiara si dava a Filippo. La regina si chiama Maria e il re Trancredi. I garibaldini erano a due passi, ma il castello si dava alle feste. Non si era in Sicilia e Tancredi non era il nipote di don Fabrizio e Maria non era la figlia di Calogero Sedera. Coincidenze. Ma si sa che tutto bisogna che cambi perché tutto possa rimanere com’è.
Allora. Maria e Tancredi promessi sposi già due secoli prima ma attesero il loro matrimonio sino allo sbarco dei garibaldini. E poi tutto mutò perché con il nuovo regno il castello decadde e il re e la regina furono portati ad Auschwitz dove incontrarono Padre Kolbe.
Maria e Tancredi morirono lì. Morirono senza funerale. Padre Kolbe riuscì a far passare la notizia ma i garibaldini erano già andati via e si trovavano al nord e instaurarono le loro guarnigioni nei pressi di Fortezza. La Germania ad Auschwitz perse la faccia, ma Lenin prima di Hitler la aveva perduta nel giorno di San Pietroburgo cinque anni prima che Mussolini ideò la marcia su Roma.
Ci sono conti che non tornano e le date sembrano dettate da una mente folle che confonde Garibaldi con Hitler e il 1861 con il nazismo.
Tutto è vero perché tutto è falso.
Tranne le lune che cantano e danzano mentre io mi cerco e non mi trovo.
Ma c’è di più. E’ stato riscontrato, e a me sono giunte delle lettere e dei documenti ben sigillati in una busta commerciale di colore rosso, che a Porta degli Angeli ci fu una dura battaglia proprio il giorno della presa della Bastiglia, tanto che alcuni confondono ancora il luogo in cui si è svolta la Rivoluzione Francese. E alla battaglia presero parte Gioacchino da Fiore e Corrado Alvaro che capeggiavano un esercito e l’altro esercito invece era comandato da Alessandro Manzoni e Cesare Pavese.
Pavese fu fatto prigioniero e venne mandato in esilio in un paese nei pressi di Reggio Calabria che oggi si chiama Brancaleone. Lì visse per alcuni mesi e poi fuggì, liberato dai carbonari. Nelle vicinanze della Porta degli Angeli c’è uno stelo che ricorda il posto in cui Pavese si accasciò catturato dagli uomini di Alvaro. Alvaro se lo portò dalle parti sue, ma fu ingannato. L’avrebbe forse dovuto rinchiudere nelle foreste dell’Aspromonte.
ALVARO DICEVA SEMPRE CHE LA FAVOLA E’ PIU’ IMPORTANTE DELLA VITA.
E poi il mare giunse sino alle porte del castello e tutto cancellò.
Nessuno ricorda più Maria e Tancredi, ma per un fatto strano Chiara e Filippo sono ancora rinchiusi nella stanza murata. Alcuni sostengono che sarebbe opportuno rompere la parete ed entrare nella stanza. Altri, invece, sono del parere che quella stanza è inviolabile perché è stregata.
Era bella Chiara tra le tende di velluto o seduta in poltrona mentre i TG davano notizie di politici corrotti e di palazzinari irriducibili.
Era bella quando diceva a Filippo:
“La storia finirà perché la storia è fatta di cronaca e noi andremo oltre la cronaca perché siamo fantasia e sogno e siamo destino tra le crepe di una civiltà che ha perduto il senso del sacro e distribuisce miserie e realtà, alle quali non si crede più.
La storia non è la memoria. Io e te siamo la memoria. I tradimenti sono la certezza del dubbio, mentre la mediocrità uccide senza che ci si possa rendere conto. Anche quando saremo ombra vivremo insieme nel tempo della salvezza o nell’amore che sarà già futuro. Questo castello diventerà un rudere che nessuno visiterà più ma noi saremo l’anima che vive tra i cocci, tra i reperti, nella terra e non ci divideremo più. Ma bisogna accettare tutto con ironia. La tragedia è ironia. La morte è ironia e la nostra morte è morte e ironia perché è l’attesa che si dichiara oltre la parete che non divide”.
E Filippo nulla rispondeva. Ma le accarezzava i capelli e le dava sorrisi. Una notte si amarono profondamente. Fecero l’amore fino all’alba. E all’alba erano già due ombre. L’una sull’altra nel destino che sarà domani.
C’è una canzone il cui ritornello recita:
“Chiara e Filippo nella notte nera
versarono il sangue sulla terra
sotto la luna gridarono al vento
parole d’amore nei sogni perduti
che non hanno più tempo”
Chiara e Filippo ritornano a cantare. E così l’eco delle loro voci è un alito che sfiora le stelle e attraversa la stanza murata e va oltre Porta degli Angeli e giunge sino a noi che ascoltiamo il mare e le onde trasportano maree e sirene mentre le barche, ad una a una, si sono allineate al pontile e hanno luci fioche.
I ricordi sono agonie ora che il castello piange sulla sua sorte, ma la memoria è soltanto nostalgia che ci aiuta a scrivere la vita.
Il teatro è dentro di noi e le maschere sono il tempo che non c’è più.
Chiara e Filippo vendono orecchini sui gradini di Piazza di Spagna e a chi domanda della loro vita rispondono raccontando quello che io qui ho tentato di mettere insieme.
Dicono che sono di un paese della Calabria e che hanno vissuto al di là del mare, su una collina, in un castello, quello di Villapiana. Una volta, tanti secoli fa, c’era una grande civiltà e c’erano grandi amori…
Ebbene sì.
Caro lettore,
attenzione, devi sempre pensare al fatto che c’era una volta proprio perché forse c’era una volta…
e il castello di Villapiana c’è tuttora ma gli intrecci che ho provocato sono confusioni che vivono dentro di me e che la fantasia tenta di riconciliare. Ma cosa importa? La fantasia è la vita e la vita se non è fantasia è un giocattolo che non serve più.
Se Chiara e Filippo siano esistiti giudicalo tu. Per me sì. E così tutto il resto. E Porta degli Angeli? Non andiamo oltre. Basta visitarlo questo castello. Ma poi è veramente un castello?
Villapiana non è forse un agorà nella quale si recita a soggetto?
Perché ho scelto Villa Piana? O Villapiana?
Caro lettore,
lasciati guidare.
La fantasia è la vita che ci resta. Ritorno a navigare tra i mari delle parole. Sempre e Corrado e Cesare mi vengono incontro. Ma Corrado non era un personaggio di un romanzo di Cesare?
Certo… Chissà se ci sono legami…
La vita la scopri una volta che non ci sei più…
Così, ora vivo in mio padre il destino che mi cammina dentro, e in mia madre la magia che porto negli occhi e il resto è un racconto che affido al mistero della fantasia.
“Non chiederò al tempo di restituirmi frammenti
perché ogni tempo vissuto è vita che non si cancella
e la vita è un tempo che resta memoria
come un fulmine di luce nel bosco…”.
Ulivi e fichi d’india. Il mare era la pianura. Onde e malinconie. I cavalli di Sibari sono usciti fuori del tratturo e cavalcano verso Leutermina. Casalnuovo. Villapiana. Porta degli Angeli.
C’è una storia dimenticata dalle cronache, ma vive nelle leggende. I cuori battono sotto la luna e la luna recita memorie tra le alture e il vento che schiaffeggia le torri. Torri senza bandiere. Bandiere sulle navi e il fumo dai caminetti delle case raggruppate nelle distanze. Sibari brucia. I secoli si rincorrono.
Carlo Martello ha dimenticato la sua età, ma suo figlio lo insegue. Il castello non ha più la porta. I turchi e i saraceni e forse anche gli albanesi hanno occupato le stanze. Il tempo perduto è la moneta del sogno. Ma le leggende sono nell’infanzia e l’infanzia è l’erba cresciuta nel castello ormai diventato un rudere.
In una stanza ora murata, di notte, raccontava una leggenda, si vedevano due ombre. E danzavano nel buio. Si tenevano per mano e facevano girotondo. Girotondo intorno al mondo. Erano Chiara e Filippo. Si erano amanti. Ma erano morti… Suicidio! Chiara era la sposa di Eduardo e Filippo era lo sposo di Flaminia. Ma si erano innamorati e per sfuggire alla separazione si erano suicidati tagliandosi le vene in quella stanza. Il custode, Germano, li aveva trovai l’una sull’altro in un fiume di sangue. D’allora nessuno abitò più quella stanza, ma di notte, gli abitanti del castello sentivano voci fievoli e sussurri provenire dalla parte alta (del castello), dove era appunto situata quella stanza.
La stanza del suicidio o dell’amore perduto. Così veniva chiamata.
Si narra che quella stanza era abitata da due ombre. Dalle ombre di Chiara e di Filippo.
Gli anni e i secoli non cancellarono il ricordo. E fu così che nel secolo scorso murarono la stanza. Il castello è un rudere ma quella stanza è intatta. E ancora ci sono voci, sogni e perdute illusioni.
Chiara e Filippo recitano l’amore e il castello disabitato è un teatro ravvivato dai suoni del tempo e dai cori del mare. Danzano la vita e dipingono la morte. L’amore è vivo, la morte è perduta. Cantano i cigni e le donne di Sibari vestono tuniche bianche e corrono alla ricerca dei figli. Gli anni si intrecciano e i destini sono solitudini ora che il pendolo consuma le età e la storia è negata.
“Amami sempre
per amarmi ancora”.
La vita senza la fantasia cosa sarebbe. E Filippo senza Chiara come avrebbe vissuto? E Chiara senza Filippo che fine avrebbe fatto?
Entrambi abitavano il castello. In due ali opposte. Ognuna con un loro ingresso. Ma poi si ritrovavano la sera a Porta degli Angeli. La sera il castello era in festa. Tutte le sere. E c’era il re con gli arcieri. I balli cominciavano lungo la linea del crepuscolo e il tramonto baciava il mare e Chiara si dava a Filippo. La regina si chiama Maria e il re Trancredi. I garibaldini erano a due passi, ma il castello si dava alle feste. Non si era in Sicilia e Tancredi non era il nipote di don Fabrizio e Maria non era la figlia di Calogero Sedera. Coincidenze. Ma si sa che tutto bisogna che cambi perché tutto possa rimanere com’è.
Allora. Maria e Tancredi promessi sposi già due secoli prima ma attesero il loro matrimonio sino allo sbarco dei garibaldini. E poi tutto mutò perché con il nuovo regno il castello decadde e il re e la regina furono portati ad Auschwitz dove incontrarono Padre Kolbe.
Maria e Tancredi morirono lì. Morirono senza funerale. Padre Kolbe riuscì a far passare la notizia ma i garibaldini erano già andati via e si trovavano al nord e instaurarono le loro guarnigioni nei pressi di Fortezza. La Germania ad Auschwitz perse la faccia, ma Lenin prima di Hitler la aveva perduta nel giorno di San Pietroburgo cinque anni prima che Mussolini ideò la marcia su Roma.
Ci sono conti che non tornano e le date sembrano dettate da una mente folle che confonde Garibaldi con Hitler e il 1861 con il nazismo.
Tutto è vero perché tutto è falso.
Tranne le lune che cantano e danzano mentre io mi cerco e non mi trovo.
Ma c’è di più. E’ stato riscontrato, e a me sono giunte delle lettere e dei documenti ben sigillati in una busta commerciale di colore rosso, che a Porta degli Angeli ci fu una dura battaglia proprio il giorno della presa della Bastiglia, tanto che alcuni confondono ancora il luogo in cui si è svolta la Rivoluzione Francese. E alla battaglia presero parte Gioacchino da Fiore e Corrado Alvaro che capeggiavano un esercito e l’altro esercito invece era comandato da Alessandro Manzoni e Cesare Pavese.
Pavese fu fatto prigioniero e venne mandato in esilio in un paese nei pressi di Reggio Calabria che oggi si chiama Brancaleone. Lì visse per alcuni mesi e poi fuggì, liberato dai carbonari. Nelle vicinanze della Porta degli Angeli c’è uno stelo che ricorda il posto in cui Pavese si accasciò catturato dagli uomini di Alvaro. Alvaro se lo portò dalle parti sue, ma fu ingannato. L’avrebbe forse dovuto rinchiudere nelle foreste dell’Aspromonte.
ALVARO DICEVA SEMPRE CHE LA FAVOLA E’ PIU’ IMPORTANTE DELLA VITA.
E poi il mare giunse sino alle porte del castello e tutto cancellò.
Nessuno ricorda più Maria e Tancredi, ma per un fatto strano Chiara e Filippo sono ancora rinchiusi nella stanza murata. Alcuni sostengono che sarebbe opportuno rompere la parete ed entrare nella stanza. Altri, invece, sono del parere che quella stanza è inviolabile perché è stregata.
Era bella Chiara tra le tende di velluto o seduta in poltrona mentre i TG davano notizie di politici corrotti e di palazzinari irriducibili.
Era bella quando diceva a Filippo:
“La storia finirà perché la storia è fatta di cronaca e noi andremo oltre la cronaca perché siamo fantasia e sogno e siamo destino tra le crepe di una civiltà che ha perduto il senso del sacro e distribuisce miserie e realtà, alle quali non si crede più.
La storia non è la memoria. Io e te siamo la memoria. I tradimenti sono la certezza del dubbio, mentre la mediocrità uccide senza che ci si possa rendere conto. Anche quando saremo ombra vivremo insieme nel tempo della salvezza o nell’amore che sarà già futuro. Questo castello diventerà un rudere che nessuno visiterà più ma noi saremo l’anima che vive tra i cocci, tra i reperti, nella terra e non ci divideremo più. Ma bisogna accettare tutto con ironia. La tragedia è ironia. La morte è ironia e la nostra morte è morte e ironia perché è l’attesa che si dichiara oltre la parete che non divide”.
E Filippo nulla rispondeva. Ma le accarezzava i capelli e le dava sorrisi. Una notte si amarono profondamente. Fecero l’amore fino all’alba. E all’alba erano già due ombre. L’una sull’altra nel destino che sarà domani.
C’è una canzone il cui ritornello recita:
“Chiara e Filippo nella notte nera
versarono il sangue sulla terra
sotto la luna gridarono al vento
parole d’amore nei sogni perduti
che non hanno più tempo”
Chiara e Filippo ritornano a cantare. E così l’eco delle loro voci è un alito che sfiora le stelle e attraversa la stanza murata e va oltre Porta degli Angeli e giunge sino a noi che ascoltiamo il mare e le onde trasportano maree e sirene mentre le barche, ad una a una, si sono allineate al pontile e hanno luci fioche.
I ricordi sono agonie ora che il castello piange sulla sua sorte, ma la memoria è soltanto nostalgia che ci aiuta a scrivere la vita.
Il teatro è dentro di noi e le maschere sono il tempo che non c’è più.
Chiara e Filippo vendono orecchini sui gradini di Piazza di Spagna e a chi domanda della loro vita rispondono raccontando quello che io qui ho tentato di mettere insieme.
Dicono che sono di un paese della Calabria e che hanno vissuto al di là del mare, su una collina, in un castello, quello di Villapiana. Una volta, tanti secoli fa, c’era una grande civiltà e c’erano grandi amori…
Ebbene sì.
Caro lettore,
attenzione, devi sempre pensare al fatto che c’era una volta proprio perché forse c’era una volta…
e il castello di Villapiana c’è tuttora ma gli intrecci che ho provocato sono confusioni che vivono dentro di me e che la fantasia tenta di riconciliare. Ma cosa importa? La fantasia è la vita e la vita se non è fantasia è un giocattolo che non serve più.
Se Chiara e Filippo siano esistiti giudicalo tu. Per me sì. E così tutto il resto. E Porta degli Angeli? Non andiamo oltre. Basta visitarlo questo castello. Ma poi è veramente un castello?
Villapiana non è forse un agorà nella quale si recita a soggetto?
Perché ho scelto Villa Piana? O Villapiana?
Caro lettore,
lasciati guidare.
La fantasia è la vita che ci resta. Ritorno a navigare tra i mari delle parole. Sempre e Corrado e Cesare mi vengono incontro. Ma Corrado non era un personaggio di un romanzo di Cesare?
Certo… Chissà se ci sono legami…
La vita la scopri una volta che non ci sei più…
Così, ora vivo in mio padre il destino che mi cammina dentro, e in mia madre la magia che porto negli occhi e il resto è un racconto che affido al mistero della fantasia.
“Non chiederò al tempo di restituirmi frammenti
perché ogni tempo vissuto è vita che non si cancella
e la vita è un tempo che resta memoria
come un fulmine di luce nel bosco…”.